All’acqua pazza

Sul referendum di domenica si è fatta molta ideologia. E quando scendono in campo i fedayyn c’è sempre poco spazio per ragionare. O sei disposto a farti esplodere per il “credo” oppure sei un infedele.

Storia antica, comune agli estremismi: sinistra, destra, religione e tifo calcistico. Sento in giro molti slogan e molti luoghi comuni.

Sul no al nucleare, forse, c’è la discussione più chiara: favorevoli e contrari ad una tecnologia per la produzione di energia.

I favorevoli dicono che il rischio è minimo e i vantaggi massimi. I contrari dicono che il rischio non vale la candela, che ci sono strumenti alternativi meno costosi, meno pericolosi, meno inquinanti.

Io voterò sì all’abrogazione del nucleare perchè penso, in effetti, che non ci sia bisogno di allestire centrali costosissime, pericolose, inquinanti per ricavare l’energia che potremmo ottenere sia con fonti alternative sia risparmiando (tema che non si affronta mai ma che varrebbe qualche riflessione).

Sull’acqua, invece, si gioca la vera partita ideologica. Si parla di “acqua bene comune” e di “non regalare l’acqua ai privati”.

In realtà si vota su tutt’altro.

Il referendum vuole abrogare una legge, la Ronchi, che obbliga gli enti locali ad appaltare ai privati, non la proprietà dell’acqua, ma una quota di almeno il 40 % della gestione degli acquedotti.

La convinzione è che entrando i privati possano entrare capitali che ammodernano e rendono funzionale il servizio. Il tema, quindi, è questo e non la privatizzazione dell’acqua. Intanto perchè l’acqua, in alcuni casi, è già concessa ai privati.  Se ho un pozzo d’acqua nella mia terra, l’acqua mi viene data in concessione.

Avete presente, poi, le acque minerali? Sono in concessione da sempre ai privati, con canoni anche molto bassi.

Sono pubbliche, per legge, tutte le sorgenti. E sono pubbliche le reti di acquedotti, quelle che intubano l’acqua e la portano nelle case.

Nessuna legge ha mai pensato di privatizzare le sorgenti e gli acquedotti. Quindi l’acqua è e resterà pubblica mentre qui si discute se privatizzare o no la gestione, cioè gli acquedotti, cioè il servizio.

La convinzione di vuole privatizzarli è che con capitali e imprenditori si guadagna efficienza e investimento. La paura di chi non vuole è che con i privati si stringa la morsa sugli utenti indigenti, aumentino le tariffe per sostenere il profitto, e non è detto che aumenti l’efficienza.

Chi ha ragione? Un po’ tutti. In Italia abbiamo acquedotti pubblici e acquedotti privati. A volte il pubblico funziona bene e a volte male. A volte il privato funziona bene e a volte male. Facciamo due esempi. A Milano l’acquedotto è pubblico: la tariffa è la più bassa d’Italia, la dispersione è a livelli tedeschi (solo l’11 per cento) e il servizio è efficiente. Ad Agrigento l’acquedotto è privato: la tariffa è altissima e il servizio non funziona. Per questo bisogna fuggire dagli ideologismi e guardare ai dati reali. Non sempre il pubblico è inefficiente, non sempre il privato è efficiente. E viceversa.

Come orientarsi? A me sembra che stia crescendo la voglia nel mondo occidentale di lasciare al pubblico la gestione di servizi fondamentali perchè è cresciuta la consapevolezza che si possono maturare efficienze anche nel pubblico, con costi più equamente distribuiti, con meno radicalità e senza profitto. Attenzione, però, ai carrozzoni clientelari, sempre in agguato quando a parlare, in Italia, solo i partiti e la politica.

Io voterò sì, con cautela, senza radicalismi, perchè mi sembra una sciocchezza introdurre l’obbligo di cedere ai privati anche gli acquedotti pubblici che funzionano.

La quarta scheda del referendum è sul legittimo impedimento. Di cosa dobbiamo parlare? La legge è stata già mezzo abrogata dalla Corte costituzionale. Inoltre è una legge a tempo: scade tra qualche mese. Riguarda sostanzialmente solo il presidente del Consiglo, che corre già verso la prescrizione e ormai è in declino. E’ un referendum abbastanza inutile.

Voto sì per dire semplicemente, ancora una volta, vaffanculo Berlusconi.

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