Artisti, ma mica fessi. Un po’ come i frati e le suore. Avranno pure fatto voto di castità ma non rinunciano alla bellezza. La sublimano, riempiendosi gli occhi invece che le mani. Fate caso ai monasteri. I posti più belli, gli intrecci più arditi di venti e sole, e c’è un convento. Religiosi, sì, ma mica fessi. Così l’artista, che sarà pure maledetto e bohemienne e disperato e vagamente depresso e un po’ triste e introverso e introspettivo e tormentato e cupo e inquieto e scapigliato e tutto perso nei suoi pensieri; sarà pure impegnato a pensare alla vita, più che ad agirla. Ma meglio esserlo in un posto bello, che brutto.
Non è quindi un caso che ci siano tracce di scrittori in ogni oasi. Raccontano il baratro ma cercano il paradiso. Scavano la parte oscura della vita. Ma intanto meglio godersela. Non c’è uno scrittore che, per cercare ispirazione, abbia mai fittato un basso a Piscinola (quartiere di case e niente più alla periferia di Napoli). Ma a Capri sì. Perchè ritirarsi dal mondo è già dura: il tormento pesa e l’inquietudine affligge. Meglio Capri che Soccavo (quartiere di case e niente più alla periferia di Napoli).
Deve averla pensata così il buon Camille. Era di bassa statura, e la cosa gli dava qualche noia. Amava la vita, ma questa, evidentemente, non lo ricambiava. Quando lo videro, i capresi lo battezzarono subito “‘o francesiello”, perchè era piccolo e cortese. Camille Du Locle, librettista d’opera, fu uno dei primi scrittori a scegliere l’isola azzurra come personalissima oasi. Decise di ritirarsi a Capri alla bella età di 44 anni, nel 1876. Oggi, a quell’età, sei appena uscito dalla casa paterna. All’epoca avevi fatto tutto quello che potevi. E Du Locle qualche passo nel giardino delle arti lo aveva mosso. Direttore dell’Opera di Parigi, librettista famoso, scrisse prima il Don Carlos per Verdi, e poi suggerì allo stesso Verdi il soggetto per l’Aida. Opere maestose per un librettista bassino, che passava inosservato. Un francesiello che a Capri costruì Villa Certosella a via Tragara e si ritirò sulla bella vista senza lasciare molte tracce di sé. Perso nella bellezza che non aveva. Tutt’altra storia, quella di Axel Munthe. Medico, scienziato, scrittore e bell’esempio di maschio vulcanico, Munthe, svedese, scelse una vecchia cappella ad Anacapri, vi costruì una villa con una straordinaria veduta (Villa San Michele) e ci scrisse su un romanzo – La storia di San Michele – dove ha raccontato, in un esempio unico di “biografia del proprio sogno realizzato” – la costruzione laboriosa e amorevole di questa villa straordinaria, donata poi allo Stato svedese e diventata, negli anni, un’attrazione per l’isola. La attraversò ad episodi, invece, Norman Douglas, che venne a Capri a più riprese fin dalla fine dell’Ottocento. Prima comprò una villa a Napoli, poi si trasferì sull’isola. Piuttosto sfortunato in amore, molto cornificato dalla moglie Elizabeth, peraltro sua cugina, ne divorziò, ricavando da queste e altre disavventure quella che a Napoli si chiama “brutta nominata”. Fu processato a Londra per molestie sessuali su un ragazzo di sedici anni, e anche a Capri – voce di popolo – pare che non disdegnasse alternare compagnie femminili a quelle maschili. L’isola, si sa, è tollerante, come il mare. Che però ha la risacca dell’inciucio.
Douglas trasfigurò Capri in una isola immaginaria, Nephente, che mise come sfondo ad uno dei suoi romanzi più fortunati, Vento del Sud. Lo scrittore inglese fu legato a Capri da un amore sincero, visse a Villa Caterola, poi a via Tragara. Ne scrisse tanto e contribuì a farla conoscere nel mondo. Non è azzardato sostenere che fu sulle tracce di Douglas che una intera generazione di scrittori decise di scoprire Capri, e più in generale la meravigliosa fiaba del sud Italia. Edwin Cerio, Compton Mackenzie, Graham Green fu lo straordinario trittico di scrittori che elesse Capri a dimora, a musa, a circolo. Il primo, architetto e progettista di tante ville, ha scritto molto su Capri ma soprattutto ha animato la vita culturale dell’isola, ospitando letterati e poeti (Pablo Neruda, su tutti) e costruendo un mito prim’ancora che un luogo. Fu sulle tracce di Cerio che Mackenzie, scozzese, baronetto, scrisse e pubblicò due romanzi a Capri e su Capri (Vestal Fire e Donne pericolose). Mackenzie, in realtà, non amava Capri in quanto tale ma in quanto isola. Aveva nel sangue la sua Scozia, ambientò le sue migliori commedie alle Isole Ebridi, si costruì una casa sull’isola di Barra, dove fu sepolto dopo la morte. In tutto questo tormentato amore per le isole, trovò a Capri un pezzo della terra che amava, e si riconobbe, la riconobbe, e la visse totalmente, abitando Villa Caterola, poi Villa Il Rosario, poi Villa La Solitaria, sulla passeggiata del Pizzolungo. Comprò una casa a Cetrella, che lasciò quando la nostalgia per la Scozia prese il sopravvento.
Graham Greene, invece, se non viaggiava, non scriveva. Doveva nutrire il suo immaginario. E per questo non trovò mai pace. Arrivò a Capri negli anni Quaranta. Aveva già scritto I naufraghi e La roccia di Brighton, aveva avuto successo e riconoscimenti e girava il mondo per trovare spunti, lampi, visuali, storie. Da Capri prese solo il relax perchè se ne andò senza lasciare tracce, se non la memoria di esserci stato. Ben altra intensità riservò a Capri Curzio Malaparte, il controverso scrittore autore di “Kaputt” e di quello straordinario ritratto di Napoli che fu “La pelle”. Malaparte arrivò a Capri nel 1936 e due anni dopo era già al lavoro per costruire la sua splendida villa, sulla panoramica del Pizzolungo, in seguito set cinematografico e poi chiusa al pubblico.
C’è anche chi a Capri ci è passato giusto un po’, ma poi l’ha raccontata con straordinaria efficacia. Lo ha fatto Aldo Busi, scrittore bresciano, letterato così robusto da doversi smarrire, ogni tanto, nelle lande televisive per ridimensionare una grandezza così poco contemporanea da risultare imbarazzante. In uno dei suoi tanti libri di memorie e viaggi (per la precisione quello che si intitola bizzarramente, ma non troppo, “Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo”), fa un ritratto di Capri che andrebbe ritagliato e appeso al muro, non fosse altro che perchè segue un omaggio alla mamma tra i più teneri, e per fortuna poco celebrati, della narrativa contemporanea.
Tutt’altra incursione caprese è quella di Valerio Massimo Manfredi che, nel romanzo storico “L’Ultima legione”, ci porta sulla Capri di 1529 anni fa, una terra in mezzo al mare dove fu tenuto prigioniero Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d’Occidente. Un’isola fedelissima e antica, ricostruita minuziosamente eppure stranamente riconoscibile.
Perduta e infame è invece la Capri di Angelo Petrella, giovane scrittore napoletano che in Nazi Paradise, un noir durissimo ed estremo, racconta la storia di un giovane naziskin e hacker, che odia comunisti e borghesi alla stessa maniera, e quando trova comunisti che sono anche borghesi, vede rosso, anzi nero. Immaginarsi cosa può combinare quando viene mandato a Capri a craccare il computer di un ricco che conserva nella sua villa informazioni pericolose e compromettenti.
Chi Capri, invece, la incorona è Mario Soldati, che ci ha vinto un premio Strega (1954) con un romanzo che andava e veniva dall’isola azzurra e che volle titolare proprio “Le lettere da Capri”. Un romanzo complesso, a più voci, con una cadenza scomposta, che viaggia nel mondo. Una storia di passioni e adulteri, un gioco ambiguo che corre tra Roma, Parigi, New York e Capri.
Avrebbe potuto avere nel titolo uno qualunque di questi luoghi, ma Soldati scelse Capri, perchè voleva raccontare l’attrazione morbosa, lo scintillìo della sensualità, il tremore della carne, la furia della gelosia, lo smarrimento del sentimento, l’euforia e insieme l’abisso di un uomo e di una donna che si prendono e poi si segnano e poi si dimenticano e poi si scrivono, come fa Jane, moglie apparentemente irreprensibile di Harry, nelle lettere che invia ad Aldo, un amante caprese che l’accende di passione e la svuota di follia. “Non potevo che scegliere Capri”, disse Soldati, ricevendo il premio Strega.
Non ci fu bisogno di spiegare perchè.
( pubblicato sulla rivista Yacht Capri magazine, numero 3, pp. 220-224)
Sono arrivata su questo blog seguendo il link che gira su FB di Steve Jobs nato a Napoli, ma poi mi sono dilungata su questo post su Capri, dove un po’ mi sono “ritirata” anche io…mica facile scrivere di Capri in maniera non didascalica. Bel post (anche quello di Steve…)
Identico itinerario-virtuale di Camilla.
Non potevo non commentare anche qui perché c’è un solo posto che amo più di Napoli: quel posto è Capri.
In particolare la mia anima risiede a Pizzolungo per tutte le volte che disperata, allegra, stanca, euforica l’ho percorsa.
E poi tutto mi immaginavo tranne Graham Greene a Capri!
Non ci crederai: ieri sera mi hanno regalato NaziParadise!!!!