Oggi, alle dodici, con una conferenza stampa, Monti apre la cosiddetta fase due del suo Governo.
La fase uno è stata una manovra di emergenza che ha scorticato per lo più la pelle viva di chi ha redditi certi e documentati (lavoratori dipendenti e pensionati), e beni registrati (case, auto), riformando finalmente le pensioni e cominciando a toccare anche qualche interesse forte.
Non sono stato tra quelli che si sono lamentati.
Il Paese era, ed è, sull’orlo di un disastro finanziario. Il default ci travolge tutti, e non sono molti ad averlo capito. Monti non aveva scelta. Doveva colpire subito, e poteva farlo solo così. In modo doloroso e in parte iniquo, certo, com’è iniquo questo Paese e com’è iniqua questa economia. Ma non c’era un altro modo. Si può fare filosofia su patrimoniali e armamenti e lotta all’evasione fino alla noia. Ma non si fa cassa in 48 ore con gli slogan.
E’ dura, lo so, ma è così.
Ora, dicevo, comincia la fase due. Quella che dovrebbe avviare il cambiamento dell’Italia, e forse renderla per davvero diversa. C’è la possibilità di avviare un’azione di sistema. Io mi auguro che Monti tiri fuori le palle (mi scuserà per questa espressione così poco adatta al suo aplomb) e non si faccia insabbiare da corporazioni e interessi. I primi segnali sono stati negativi. Monti mi è apparso timido e titubante. Non credo sia questo il suo ruolo. Per le timidezze ci bastavano i politici.
Le corporazioni si sono sollevate. E lo faranno ancora. Ci sono interessi diffusi, e parassitari. E ci sono anche situazioni complesse. Io mi auguro che di fronte ad un’Italia che non vuole cambiare, che guarda al passato, che vuole tenersi stretta le sue mille mediocrità, Monti affondi il coltello e ci faccia moderni.
Bisognerà scavare nelle piaghe, scardinare i bulloni pazzi di un Paese che gira a vuoto.
Mi auguro che lo faccia senza riguardi. Mi auguro che crei le condizioni per liberare il merito e non le appartenze, i valori e non le clientele, le capacità e non gli inciuci.
E’ questa l’equità che sogno.
Mi auguri che cambi l’Italia. Oppure, è meglio che se ne vada. E noi pure.