Mi sento come un pugile suonato. Sarà stato il trittico San Valentino/Celentano/farfallina ma mi sento immerso in un bidone d’idiozia, e qualcuno ha pure chiuso il tappo, perché non vedo la luce, sento solo una puzza acida e a volte penso che sia io.
E’ colpa mia.
Non sono un moralista.
Sono per la libertà di pensiero, avendone uno, però. E per tutte le libertà, e per tutte le nudità. Soprattutto quelle femminili.
Non mi scandalizza la farfalla della soubrette, esibita sotto lo spacco, e vivisezionata dalle argute moviole del web.
Non mi scandalizza il cachet di Celentano, non più di quanto possano scandalizzarmi quelli di Totti, o di Minzolini.
Non mi scandalizzano le sue cazzate ad orologeria.
Non mi scandalizza nemmeno che un italiano su due passi una o più serate letargiche davanti alla tv.
Ognuno ha ben il diritto di fare quello che gli pare.
Non mi scandalizza niente, a dire il vero.
E’ che sono stanco.
L’altra sera sentivo un peso in mezzo al petto. La voglia di un lamento. Poi ho pensato che, in fondo, le cose mi vanno bene. Ho un libro che è arrivato perfino in classifica e che, finalmente, giri per librerie e lo trovi, e se non lo trovi è perché ha venduto tutta la prima tiratura ed è in ristampa. Ho richieste di presentazioni da mezza Italia, e giro per interviste, e incasso complimenti, e mi gratifico.
Mi succede quello che mai mi era successo da quando scrivo.
Eppure l’altra sera volevo lamentarmi. Da solo. In qualche modo. Ma non ho trovato le parole. Ho scritto e riscritto. Dove lo metto questo lamento? Su twitter o su facebook? Magari mando un sms ad un amico. Anzi, no, mo’ chiamo mia mamma e la affliggo. No, scrivo un tweet, anzi uno stato. Ma niente.
Era il lamento di un sordomuto, un rantolo. Come un pugno all’incontrario. Da dentro verso fuori.
Ho desistito e non ho scritto nulla. Ma quel lamento strozzato, come uno starnuto abortito, mi è rimasto addosso, e adesso mi viaggia dentro. Una malinconia del futuro. Non so espellerlo. Me lo palleggio negli occhi, come una lacrima secca.
E’ la gente, certe mosse, questa insopportabile furbizia.
E’ questa Italia.
E’ vero, in certi casi pesa lamentarsi perché si pensa: “Se mi lamento io, gli altri cosa devono fare? “. Eppure, chi non vive solo secondo il paradigma: mangio-bevo-chemenfottedelresto, la sensazione è proprio quella che hai decritto tu, di un peso all’altezza del petto. Forse sarà anche questo inverno pesante, più pesante del solito, che ci ha privato per tanti giorni perfino del ricordo del sole, ma so cos’è questo peso. Forse è una somatizzazione estrema ma è sicuramente una reazione vitale. Una forma di idiosincrasia verso ciò che non ci appartiene. Una forma di incompatibilità per un modello che non è il nostro. Una vera e propria crisi di rigetto. Si soffre, è vero ma è segno che si è vivi, e che il nostro sistema “immunitario” reagisce e si attiva verso ciò che cerca di aggredirlo dall’esterno. Probabilmente, chi è già morto dentro non reagisce più, non si indigna più, anzi si lascia trasportare come un corpo morto. Forse si è arreso al sistema, forse ne è stato travolto, forse è colluso con esso. Non lo so. Forse un giorno alcuni di noi saranno etichettati con un bollino: “non conformi allo standard”. Allora quel giorno l’unica soluzione sarà una riserva indiana o una tribù masai.
Quando è così, come diciamo a Roma, so’ cazzi amari. Quando arriva lo stadio in cui ti rendi conto che a nausearti è quello che hai intorno e capisci che è inutile esternare il tuo malesse al male stesso diventa complicato trovare uno sfogo. Mi capita spesso, dico sempre che dovrei partire ma alla fine non riesco a credere davvero che le persone da altre parti siano così diverse.
Fatti una risata, magari aiuta!
Ho appena finito di leggere il tuo ultimo libro ed anche io adesso mi sento come un pugile suonato. Non è Celentano che mi fa questo effetto, ma la consapevolezza, che giorno dopo giorno aumenta, di un paese con sempre meno speranze. Quanti Stefano Lavori ci sono in Italia che ogni giorno devono fare i conti con il traffichino di turno, se non peggio? Sono napoletano di nascita ma sempre vissuto al nord. Sicuramente qui le cose vanno meglio che nell’amata ed odiata Napoli (ovviamente guai a chi la tocca!), ma l’atmosfera che si percepisce è quella di una inesorabile decadenza.
La storia che hai raccontato, in modo mirabile, francamente non mi suscita alcuna ilarità. Sicuramente mi ha fatto riflettere. Alla fine c’è un messaggio di speranza ed ho potuto chiudere con un sorriso sulle labbra. Grazie!
Dobbiamo lasciare ai nostri figli un paese in cui abbiano il diritto di sognare, essendo consapevoli della possibilità che, se ci credi davvero, il sogno lo puoi realizzare.
Ma questo dipende da noi. Non sono lo spread o il ftse mib i parametri di riferimento per valutare un popolo. Prima bisogna ricostruire un tessuto sociale con dei Valori e Ideali condivisi. Così fecero i nostri nonni che presero tra le mani un paese socialmente ed economicamente dilaniato.
Dobbiamo farlo, se non per noi, per le future generazioni, per i nostri figli.
P.s. il libro mi è paiciuto molto, letto tutto di un fiato.
Il problema è che questo non è il paese di 70 anni fa, dilaniato dalla guerra e distrutto socialmente ed economicamente.
Questo e un paese tutto sommato ricco, dove ci sono molti che stanno benone e che fanno del loro peggio per stare ancora più bene senza guardare se chi rimane calpestato dai loro sforzi può rialzarsi oppure no.
Ognuno per se e tanti saluti.
Così ogni buona anima che vorrebbe fare qualcosa viene incastrato dalle resistenze spesso inamovibili di chi vuole conservare i propri privilegi anche se sta portando tutti alla rovina.
E basta che questi potenti (ma anche no, è una mentalità che alberga anche nella gente comune) facciano la faccia bella perchè ci siano tanti che pensano che quello e il vero modello da seguire.
Cosa mi frega dei giovani senza lavoro, delle frange povere della popolazione, degli immigrati, delle difficoltà di emergere dei bravi ma non ricchi, dello scandalo per una educazione scolastica sempre più esiziale, di una cultura del nulla assurto a paradigma, se tanto io il mio ce l’ho ? Anzi, devo pensare a me a migliorare il mio status perchè di pagare le tasse per i poveri mica c’ho voglia e in fondo si paga pure troppo per certa gente.
… non vado avanti, ma più che l’italia della fine degli anni ’40, a me questa italia, ma questa società in generale, mi ricorda tanto il medioevo feudale …
E quando Ponch scrive “esternare il proprio malessere al male stesso” mi sembra una appropriata descrizione della situazione attuale …
Io purtroppo sono pessimista, anche se sono quasi 30 anni che faccio il possibile perchè, almeno dal basso, le cose cambino un pochino …
Hai ragione, Antonio, ci si stanca anche a non vedere vie d’uscita. Certe condizioni sono usuranti, come direbbe un sindacalista bravo.