Il funerale del lavoro

Domani è il primo maggio. Si celebrano in tutto il mondo le conquiste dei lavoratori. E’ una festa operaia, nata alla fine dell’Ottocento. Segnata da splendide lotte sindacali. Domani ci saranno cortei, concerti, comizi. Quante ne ho sentite. 

Devo dire che festeggiare il lavoro, oggi, mi mette molta malinconia. Come orfani alla festa del papà, ci aggiriamo lungo questa giornata guardando con un filo di invidia i pochissimi che hanno un lavoro fisso, garantito, tutelato, con salario intero, e rimanendo, invece, attoniti per quello che siamo diventati. 

Precari cronici, spaventati, flessibili, sottopagati, sorridenti per forza maggiore, alienati, divisi, laureati, soli, insultati dalle generazioni precedenti, irrisi dai benestanti. E, spesso, perfino disoccupati. Liberi anche da questo lavoro sporco, povero, miserabile. Sono più di 120 anni che è il “primo maggio”. 

Ma più che festa, lo chiamerei funerale.

 
 
 

Che bella, Napoli, vero?

Con la pezzotto Cup di vela, vinta amichevolmente in acque casalinghe da Luna Rossa, Napoli ha ricordato al mondo che è una città meravigliosa: un golfo magico, e una città verticale straordinaria che, vista dal mare, arrampicata come un’edera, compatta come un borgo, sembra quasi non essere la stessa che vediamo, giorno per giorno, dall’interno, dalle strade, dalle case.

Nelle immagini televisive, che ci hanno riempito di orgoglio, ci siamo tutti specchiati, e ci siamo sentiti più belli, più fieri.

Ma c’era davvero bisogno di ricordare al mondo, e a noi stessi, quanto è bella Napoli?

Io lo sapevo già. E, per quanto è di mia cognizione, lo sapevano anche nel mondo.

Non c’è una sola volta che, in Italia o all’estero, io, dicendo che ero di Napoli, non mi sia sentito rispondere “bellissima”, con varie postille, però. E qui veniamo al punto. Bellissima ma invivibile. Bellissima ma pericolosa. Bellissima ma caotica. Bellissima ma povera. Bellissima ma…

Nessuno ignorava la bellezza di Napoli. Nessuno, al tempo stesso, però, ne ignorava i problemi. E se qualcuno stava lontano da Napoli lo faceva non perchè pensasse che fosse brutta. Ma perchè era spaventato dalle sue mille emergenze, dalle ferite sempre aperte.

Ecco perchè considero le esibizioni amichevoli di vela una operazione fondamentalmente inutile. Ad uso più interno che esterno. Ha solleticato molto la nostra vanità di popolo (il 90 % dei presenti era napoletano), il nostro orgoglio collettivo; è piaciuta molto al nostro simpatico narcisindaco, che ha indossato con grande classe la felpa della multinazionale Prada.

Ma non credo che produrrà grandi effetti sul futuro di Napoli.

La città, dal mio punto di vista, non ha un problema di immagine. Ha un problema di sostanza. Per voltare davvero pagina, per attrarre turisti e investimenti, bisogna poter dire al mondo che Napoli, oltre ad essere bella, cosa nota da secoli, è finalmente anche “normale”, oserei dire “ordinaria”. Una città dove si può stare, si può vivere, si può investire, si può camminare; una città che, come tutte le metropoli, ha imparato a gestire da sola il problema dei rifiuti, dove l’ordine controlla il territorio, dove la microcriminalità è combattuta vicolo per vicolo, dove si può giocare una scommessa sul futuro, con nuovi investimenti e più lavoro, ma anche su un presente di certezze minime, quelle della legge, della convivenza civile, del rispetto delle regole.

Quando potremo dire queste cose al mondo, saremo davvero sulla rampa di lancio.

Per ora, su quella rampa ci sono solo fuochi d’artificio. Tanti colori, tanta bellezza, tanto fumo.

Come nel famoso “rinascimento” di Bassolino: ve lo ricordate?

 

La cup col pezzotto

Cominciamo col dire che, oggi, nel golfo di Napoli non si disputa l’America’s cup. Quella si svolgerà a San Francisco nel settembre del 2013. Non si disputa nemmeno la Louis Vuitton cup. Quella si svolgerà a San Francisco nel luglio del 2013. Non si disputa nemmeno una cup. Non si disputa quasi niente, perchè è una specie di allenamento. Un’amichevole.

Oggi a Napoli si apre metà di una (quella veneziana) delle quattro tappe delle serie preliminari della Coppa America. La differenza c’è, e non è da poco.  Per capirci : una cosa sono i mondiali di calcio, una cosa sono le qualificazioni ai mondiali di calcio; un’altra cosa ancora le amichevoli di preparazione ai mondiali.

Una cosa sono le Olimpiadi, una cosa sono i trials per qualificarsi alle Olimpiadi.

Parlare di Coppa America, quindi, è sostanzialmente un pezzotto (per i non napoletani, cercare su google). Che si capirebbe di più se parlassimo di Louis Vuitton, data la frequentazione delle massaie napoletane con le famose borse marroni tempestate di LV, cucite nei bassi della Pignasecca.

Col pezzotto le borse, col pezzotto la coppa.

Detto ciò, proviamo a ragionare un minuto sulle cose positive e su quelle ridicole di questo evento internazionale di cui, in queste ore, tanto si parla a Napoli.

Di positivo c’è che gli alberghi napoletani sono pieni (così dicono); che ancora una volta abbiamo modo di mostrare anche il taglio fascinoso del viso di questa meravigliosa città, e non solo lo sfregio permanente che ne solca l’altra metà; che, per l’occasione, viene pedonalizzato il lungomare, e forse diventa un’isola permanente, un pezzo di città restituito alla vibilità, fatto positivo a condizione di costruire cose intorno e dentro l’isola, che non diventi un’Alcatraz; infine, nell’insieme, sull’evento, sta salendo una mossa di orgoglio collettivo che magari può mettere in moto un’energia positiva, di costruzione.

Il ridicolo è, invece, tutto il resto. Più o meno quello che ha a che fare con il nostro vizio di voler risolvere le questioni con un tocco magico, o con l’uomo della provvidenza.  Mettiamo quattro vele nel golfo, scattiamo una foto, e via. Mettiamoci un capopopolo un po’ demagogo. E Napoli è cambiata. Napoli è bella. Napoli è la più bella. Napoli è la più bella al mondo. Troppo facile e troppo comodo.

Per Napoli aspettiamo una cosa seria. E la aspettiamo dalla classe dirigente, la stessa che gonfia il petto, in queste ore, per aver fatto mettere il vestito buono ad un corpo marcio.

Bene. Bravi. Bis. Tagliate il nastro ma non tagliate la corda.

Adesso vogliamo un progetto.

Un progetto significa una strategia di sviluppo, una visione sul futuro, un percorso misurabile per obiettivi a breve, medio e lungo periodo che significhi infrastrutture, sviluppo, lavoro; che significhi lotta al clientelismo, alla camorra, alla corruzione; che significhi legalità, ordine, vivibilità.

Quanto siamo distanti da tutto questo?

Secondo me, tantissimo. Non abbiamo ancora nemmeno cominciato a ragionarci. Non vedo organizzazione, né percorso, né protagonisti capaci di segnarlo. Ci sono propaganda, slogan, pezzotti e fuochi d’artificio.

Molto fumo, che, com’è noto, prima ti piace e poi ti intossica.

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