Lasciare o restare? Magari fosse una scelta.

ImmagineSono molti anni che mastico, a bocca amara, la questione del rapporto con le radici. Il legame con il proprio luogo. La rete di affetti. Il desiderio di camminare sulle strade dove sono si è stati bambini, di veder crescere gli amici di infanzia, di battersi per il proprio quartiere, o di sostenere la vecchiaia dei propri genitori.

Vivere nella casa dove ha vissuto tuo padre, e prima ancora tuo nonno.

Prendere l’ombra della grande quercia.

Sento questo tema in prima persona perchè dentro di me è irrisolto. Combatto continuamente tra due tensioni opposte (andare, restare), e non ho mai saputo scegliere (alla fine, scegliendo).

Sia chiaro: non mi unisco all’eterna, e stucchevole, guerra tra chi va e chi rimane. A Napoli, in questo senso, c’è una sfida storica, e ridicola, alimentata da una certa pubblicistica improvvisata.

Chi resta si sente eroe in trincea e accusa chi se ne va di diserzione. Chi se ne va, al contrario, si sente uno buono, con la marcia in più, e accusa chi resta di essere bamboccione, o mediocre.

Io rifiuto questo teatro. Tutte le scelte hanno pari dignità. Ciascuno ha il sacrosanto diritto di andarsi a vivere la vita dove gli pare. Vuoi andare, vai. Vuoi restare, resta. Sono scelte individuali.

Tutto questo , però, vale finchè c’è lo spazio, appunto, per una scelta.

Negli ultimi quindici anni la sceltà non c’è stata quasi più. Andare è un obbligo. Tutto passa per il lavoro, e per la realizzazione di sé. La gente lascia il Sud, parte, anche a malincuore, per lavorare.

Soprattutto a malincuore. Non lo sceglie. Deve farlo.

Dal 1995 al 2008 hanno lasciato il Meridione per il Centro-Nord circa 2 milioni di persone. Di questi, un milione di età compresa tra i venti e i trentanove anni.

Altre 120mila persone lasciano ogni anno l’Italia per l’estero. Il 60 % proviene sempre dal Sud.

In sostanza, ci stiamo svuotando, come Paese, e come Meridione, delle migliori energie.

Alleviamo, facciamo studiare, i nostri giovani, e poi li regaliamo. Li facciamo giocare in un’altra squadra.

Altrove trovano opportunità che qui non hanno. Chance. Riconoscimento.

Il dramma non è solo il loro, che trovano la via, e magari vivono con l’occhio umido della nostalgia, con la fatica di recidere i legami, ma se ne fanno una ragione. Il dramma maggiore è del territorio. Senza le forze migliori, e senza gli strumenti a chi resta, c’è un irrimediabile impoverimento.

Non solo di denaro ma di energie.

È una Spoon River. Non c’è una famiglia che non abbia un figlio o un nipote lontano. Non c’è una famiglia che non pianga questo piccolo lutto. Io credo che questa sia una grande questione sociale del nostro tempo. Come si risolve? Non ho, ovviamente, soluzioni facili, se non quelle che possono nascere dall’analisi sociale, dall’interrogarsi, dall’indagare cause e tirare, quindi fuori, le risposte.

Credo che molto parta dal lavoro, e dallo sviluppo, e dalle opportunità, intersecando il tema del merito, dell’investimento sui giovani. C’è da rovesciare un modello sociale. Il cambiamento non è cosa da salotti, o da iniziative estemporanee, come siamo abituati a fare sull’onda di qualche evento di cronaca.

Non servono le risposte emotive, ci vuole un progetto. Va attivato un meccanismo profondo.

In “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli”, con un passo leggero, una piccola narrazione, di una piccola storia paradossale e provocatoria, ho provato a mettere in fila i fattori che bloccano i giovani talenti del Sud: mancato accesso al credito, burocrazia, condizionamenti ambientali, corruzione, camorra.

Si è aperto un dibattito ampio, interessante. Spero che sia servito a dare qualche chiave. Il racconto dei problemi, per chi sa leggerlo, contiene anche le soluzioni, e credo che questo sia il principale contributo che un libro, un lavoro culturale, un giornalista, uno scrittore, possano dare al proprio territorio.

Da martedì 19 marzo sarà in tutte le librerie una mia nuova storia.

Si intitolerà “Tre terroni a zonzo – Lasciare Napoli o restare?”.

Parlerò sempre dei giovani del sud, ma da un’altra angolazione, quella, appunto, della migrazione.

Andare o restare?

Viene pubblicato anche questa volta da Sperling & Kupfer. é un’ideale continuazione del primo libro. Ci sono la stessa ambientazione, lo stesso stile, una lingua semplice, una tonalità lieve per tentare, però, di indagare una questione complessa. I protagonisti, questa volta, sono tre: Ilaria, Michele, e Diego Armando. Si laureano brillantemente, nei tempi giusti, e col massimo dei voti. Ma la sera della festa sale l’ombra della domanda terribile: “e adesso? che si fa?”.

Ilaria e Michele non hanno dubbi. Se ne vanno da Napoli “Qui si muore”, dice Ilaria, “non c’è futuro”. Lei va a Milano, Michele a Londra. Lì trovano lavoro, ma non solo. Diego Armando, forse anche per il nome che porta, vuole restare. Vuole restare a Napoli. Per lui, il cammino sarà più duro. Il libro racconta le storie parallele dei tre, nei primi due anni dopo la laurea. E’ una storia di emozioni, di vita quotidiana. Una narrazione. Ma traccia anche una mappa. Ha una conclusione che apre alla speranza, e dice, in fondo, che la strada per restare c’è.

Ci può essere.

Spero che questo libro, come il precedente, sia accolto con benevolenza e attenzione.

E che possa essere un contributo utile per aprire uno squarcio su una grande questione sociale, e trovare insieme la via per affrontarla.

9 pensieri riguardo “Lasciare o restare? Magari fosse una scelta.”

  1. aggiunto subito alla mia lista di libri da leggere, anche se il tema è di quelli trattati e ritrattati, ne sono uno studioso, per motivi anche personali, essendo campano emigrato subito dopo la laurea, 6 anni fa, e non vedo l’ora di leggerlo! Consiglio anche di segnalarlo ad Aldo di italiansinfuga.com, che sono sicuro sarà interessatissimo al libro e che potrebbe, tramite un’intervista pubblicata sul suo portale oramai di riferimento per questo tema, darne molta visibilità. Ovviamente senza dimenticare lo specialista, o almeno supposto specialista, in materia, nel giornalismo italiano, Beppe Servegnini ed il suo blog italians sul Corriere, su cui son sicuro non perderebbero tempo a pubblicare una lettera per segnalare il libro.

  2. Confesso che devo ancora leggere il primo libro e devo assolutamente farlo prima di vedere l’allestimento teatrale che i miei amici stanno realizzando.
    Questo temo possa colpirmi un po’. La fascia d’età è quella, la provenienza anche, e a fine aprile mi trasferisco al nord. Grazie della bella riflessione intanto.

  3. Reblogged this on fabiodevivoblog and commented:
    Uno Scrittore che ammiro particolarmente e che rivedo tanto in me in queso post.
    Le radici sono sacrosante e andar via non è sempre così facile come sembra… Non una fuga, ma una necessità… Ben venga se quest’ultima diventa virtù.
    Comprerò il libro.

  4. Concordo con te che non é semplice fare certe scelte ma devo anche dire che, col passare degli anni (sono quasi 10 che sto in Germania), il rapporto con la propria terra di nascita evolve, ti senti sicuramente legato perché lí hai ancora parte dei tuoi affetti ma il cordone ombelicale si allenta: costruisci amicizie, relazioni… insomma anche il tuo mondo si sposta insieme a te.

    Sopratutto noto che ció che ti ha portato a 1500 Km da Napoli, ovvero il lavoro o le aspettative di carriera iniziano ad essere sempre meno importanti per fare pian piano spazio ad altri “valori” che ritieni vitali per la crescita dei tuoi figli, che sono funzionali ad un equilibrio personale e di coppia e che riesci a trovare nel posto che ti ha accolto.

    Non sono uno che fa la guerra di religione a chi lavora “giú al sud”, non sono uno del “fuijtevenne” a tutti i costi anzi credo che gli equilibri di cui parlavo sopra, si possano e si debbano essere costruiti anche da coloro che hanno deciso di restare.
    Entrambe le scelte sono assolutamente legittime, entrambe hanno diritto di cittadinanza ed entrambe comportano un lavoro fatto di sacrifici e sopportazione per confermare, giorno dopo giorno, che quella, alla fine, é stata la scelta giusta.

  5. Ciao dpo la laurea nel lontano ’99 ho provato tentato e ritentato a restare nella mia terra. Non ce l ho fatta, 5 anni a Dublino, 5 a Roma ed ora di nuovo a Dublino. Ieri ero a Napoli mio padre ci ha offerto il pranzo al ristorante, era un giornata splendida. Via Caracciolo e’ l’unico posto al mondo. Mio nonno, di cui porto il nome ci andava tutti i giorni. Chissa’ dopo le cose che aveva vissuto durante la guerra, cosa pensava a guardare il mare da li’? Poi treni ad alta velocita, taxi aerei di nuovo taxi, freddo, ordine, lavoro e soldi. A Termini ho comprato il tuo libro e prima di scendere dall’aereo l’avevo gia finito. Certi pensieri non sono solo i tuoi. Sara’ che mi chiamo anche io Michele come uno dei protagonisti, ma la dissociazione di cui parli dopo tutti questi anni la vivo forte come il primo giorno. Non ci ho potuto vivere, spero di poterci morire.
    Grazie

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