Bla, bla, bla, blatte.

«Gesù, ‘na blatta». Concetta, una signora che abita un basso dei Quartieri Spagnoli di Napoli, alla vista dell’orribile scarabocchio di ali e zampe, è saltata dalla sedia, dove passa circa diciotto ore al giorno, ha afferrato una scopa e ha scagliato una potenza di mazzate sul povero insetto da spezzarlo in tre tronconi, tutti orridamente in fuga con gli ultimi spasmi di vita.

Insieme al colpo, Concetta ha lanciato anche l’urlo ripetuto del pericolo che, come la voce di un muezzin, nei Quartieri, allerta tutti su ogni rischio. Fuori del basso si è radunata una folla pensosa e contemplativa, che ha visionato i resti della blatta, e ha cominciato a tessere teorie.

«Quest’anno sono lunghe il doppio», ha osservato Luigi, il salumiere del vicolo, «deve essere il caldo».

«Qua’ caldo?», ha replicato la moglie, «quella è la monnezza. Chissà che ci sta in queste fogne».

«Ma come ha fatto a venire fino a qui?» si è rammaricata Concetta, «io ogni mattina butto mezzo litro di candeggina per tutta la strada».

«Ci vuole il flit», ha sentenziato Filomena, del basso accanto, «io lo spruzzo tre volte al giorno».

«E comunque stanno qua, ’sti disgraziate», ha detto amareggiata Concetta, «mo’ come facciamo?».

Non ha finito di chiederselo che dal primo piano è sceso don Antonio, con un secchio di polvere bianca e una paletta. Con precisione ha seminato la traccia di veleno lungo tutto il perimetro del palazzo, poi del vicolo, che ha assunto, così, l’aspetto di una trincea invalicabile.

«Venite, mo’, venite», ha sibilato don Antonio.

Da alcuni giorni a Napoli c’è una nuova, piccola isteria collettiva. L’invasione delle blatte, l’hanno chiamata i giornali. Il quotidiano francese Le Monde ha dedicato al caso mezza pagina. Insetti lunghi e rossi, sostanzialmente inoffensivi, ma orrendi, escono dalle fogne e invadono marciapiedi, giardini, bassi, negozi e – essendo agili -, anche qualche primo piano, guadagnato con ardite arrampicate sui tubi esterni delle abitazioni.

Nei quartieri «alti» del Vomero e Posillipo si segnalano i casi più numerosi e frequenti. Non si sa se perché le blatte sono davvero di più o se fanno solo più impressione al nasino di chi ci vive. Dal centro storico si lamentano meno ma, come ai Quartieri spagnoli, qualche blatta è comparsa, seminando panico ma anche reazioni. Disinfestazioni fai da te. Del resto, Napoli è una città abituata a fare così. I quartieri si attrezzano e, nelle emergenze, soprattutto quelle sanitarie, corrono ai ripari con le loro mani.

Puliscono, disinfettano, lustrano, si lamentano ma non protestano.

Secondo gli esperti del Policlinico di Napoli, le blatte possono condurre infezioni. Ma i rischi non sono altissimi. Lo choc per chi se le ritrova a camminare sui piedi, però, è garantito.

La comparsa delle blatte ha scatenato immediatamente le tifoserie storiche degli «amici di Napoli» e dei «nemici di Napoli».

Gli amici di Napoli hanno sempre un complotto nel cassetto. Negano che ci sia una invasione, sostengono che con il caldo, gli insetti escono ovunque, e che a ben vedere le blatte ci sono anche a Roma e a Milano e a New York. «Solo che lì i giornali non ne parlano. Invece se c’è da parlare male di Napoli, sono tutti pronti».

I nemici di Napoli – considerati tali dalla controparte -, invece, hanno trovato nuovi argomenti per invocare la fuga, il peccato insanabile, la malattia terminale di una città senza speranza. Il sindaco rivoluzionario de Magistris ha ironizzato con un tweet sul fatto che a Napoli, ormai, pure le blatte sono rosse. Anche lui, però, nega l’emergenza. Si è detto pronto a querelare Le Monde e tutti i poteri forti planetari che vogliono dare una immagine negativa della città di Napoli, perchè oggi, con la rivoluzione, Napoli fa paura al mondo.

In realtà sarebbe bastato fare un po’ di manutenzione delle fogne, una disinfestazione ad aprile, e con il caldo rovente di questi giorni, nemmeno una blatta sarebbe comparsa sulle strade.

Ma questa è una riflessione troppo ordinaria. Andrebbe bene per una città normale. Non per Napoli. Qui il dramma sferraglia sempre sullo show. Qui, il sindaco denuncia Le Monde e il liberismo selvaggio, e la signora Concetta, ogni mattina, da una settimana, raddoppia la dose di candeggina.

Poi guarda soddisfatta i lastroni bagnati e dice, ad alta voce, “meno male che ci sto io sopra a questi Quartieri”.

E meno male.

Ci basta il trentacinque

Non amo i buffoni.

A Napoli questa parola si riempie di significati. Noi per buffone non intendiamo il pagliaccio ma il gradasso, una sorta di guappo non violento, uno “squarcione”, un chiacchierone esagerato, tronfìo, quasi sempre innocuo, ma molto, molto fastidioso.

Il nuovo sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, a volte tende ad essere buffone.

Esserlo, non farlo.

Della sua vittoria, ovviamente, mi sono compiaciuto visto che l’alternativa era Lettieri, una sorta di uomo d’affari scelto da Gianni Letta, e “organizzato” da Nicola Cosentino e Luigi Cesaro; il voto che ha portato de Magistris a Palazzo San Giacomo è stato sicuramente intessuto di buona volontà, di pulizia, di onestà. La gente migliore di Napoli ha affidato all’ex Pm il compito di cambiare la città.

Ci riuscirà?

Non lo so, vedremo.

Di certo, governare Napoli è molto più difficile che sedurla. Come una bellissima donna, fragile di nervi, la città si innamora in due minuti di chi sa guardarla negli occhi con fermezza.

Ma poi tenersela è tutt’altra storia.

Vedremo quanto de Magistris sarà capace di tenere teso il filo della speranza e, al tempo stesso, di confrontarsi con la durissima legge della gestione di un territorio a tratti ingestibile.

Una cosa, però, mi colpisce molto delle cose che va dicendo, in questi giorni.

Lui ripete che porterà la raccolta differenziata a Napoli al settanta per cento entro la fine dell’anno. Oggi la percentuale supera a malapena il venti. La differenziata si fa solo in alcuni quartieri (Chiaiano, Colli Aminei, Bagnoli), con risultati eccellenti. Per buona parte della città è una parola sconosciuta.

Il nuovo sindaco dice che lui, in sei mesi, ritira i cassonetti dalle strade, distribuisce a tutte le famiglie napoletane il kit, struttura un servizio di raccolta porta a porta, allestisce le isole ecologiche, e arriva al settanta per cento.

Ci riuscirà?

A me sembra una buffonata.

Gli esperti di differenziata sanno che nelle metropoli il sistema decolla con molta più fatica, ha più falle, territori più vasti, più dispersioni.

Nella classifica delle città con più di 500mila abitanti, il primato in Italia ce l’ha Torino. Con quale percentuale? Il 42 %. Le altre sono a livelli ancora più bassi. La media italiana è del 29 %.

Raggiungere il 70 per cento in sei mesi, quindi, è una missione impossibile. Oltretutto, con quali soldi? Con quali lavoratori? Non si sa.

Lunedì prossimo de Magistris farà la giunta. Uno degli assessori in pectore è Raffaele del Giudice, il direttore regionale di Legambiente. Mi vanto di essergli amico da vent’ anni. Lo stimo molto.

A Qualiano, sua città natale, nei primi anni Novanta, fui direttore di un giornalino che lui faceva con pochi volontari di Legambiente. Si chiamava Il Timone. Su quel giornale comparvero le prime denunce sul traffico di rifiuti nel Giuglianese. Io me ne occupavo contemporaneamente anche come corrispondente del Mattino.

Da allora sono passati molti anni, la situazione è peggiorata ma un uomo come del Giudice oggi corre per la poltrona di Assessore all’Ambiente al Comune di Napoli. Questo è per me un motivo di fiducia.

Spero in Raffaele molto più che in Luigi. Magari gli spiega che con i rifiuti è meglio non farsi “masto”.

Ci andasse piano, ma andasse lontano. Ci basta il trentacinque, e a dicembre festeggiamo.

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